Qualcuno vuole direttori dei musei e buoi dei paesi tuoi, impedendo incarichi a non italiani

Direttori dei musei e buoi dei paesi tuoi. A qualcuno piace così. Perfino fra gli uomini di cultura. Ma anche fra i giudici amministrativi. Non tutti, per carità. Tanto che, con un’altalena di ventidue verdetti, il Tar e il Consiglio di Stato hanno, secondo i casi, ammesso o non ammesso l’affidamento della direzione di musei e siti archeologici a non italiani, come previsto da una riforma varata nel 2014 dal ministro dei beni culturali Dario Franceschini. E non basta: proprio il Consiglio di Stato che sembrava aver finalmente dato via libera con un precedente verdetto ha rimesso la questione all’adunanza plenaria, come reso noto venerdì 2 febbraio 2018. Insomma si rischia di non avere più direttori non italiani (attualmente sette su trenta), con un singolare arroccamento. L’esempio di tanti musei di tutto il mondo con italiani ai vertici (come Gabriele Finaldi direttore della National Gallery a Londra o Andrea Bellini direttore del Centre d’art contemporain di Ginevra per non parlare delle posizioni ricoperte in America) potrebbe forse suggerire qual è la strada giusta e ricordare l’importanza del rispetto del principio della reciprocità. Ma prima ancora delle consuetudini internazionali e degli aspetti formali c’è una questione fondamentale: la cultura non ha confini. Non può averne, pena negare se stessa. O qualcuno preferisce che tutto resti in famiglia? Sarebbe un ritorno al passato all’insegna del provincialismo e del protezionismo, negando il valore della concorrenza fra dirigenti e competitori di qualunque nazionalità.

Foto a Paestum di Giovanni Currado Agr 30 ottobre 2016

 

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