Roberto Ippolito con “Dimmi che non può finire“ (Einaudi) di Simona Sparaco e lei con “Delitto Neruda” (Chiarelettere) 30 ottobre 2020 Mondi Roma

Siamo immersi nella lettura. Vicini. Io con il suo libro “Dimmi che non può finire”, appena uscito con Einaudi. Lei con il mio “Delitto Neruda”, pubblicato da Chiarelettere. Sto sorridendo per la sua creatività: Simona ha dato vita perfino a un “numero ambiguo”. Che sarà mai? Intanto il suo viso sembra manifestare un certo stupore per i comportamenti reali descritti da me. Ma non la sbircio nemmeno: i miei occhi sono soltanto per le sue pagine. “Quello che mi piaceva era come uno yogurt, destinato a scadere” c’è scritto quasi all’inizio. Ci penso un attimo, constatando l’intonazione diversa di queste parole rispetto al titolo: “Dimmi che non può finire” non ammetterebbe una scadenza, no? O il titolo è un’aspirazione? Un accorato appello a qualcuno? Per saperne di più e capire vado avanti. E cosa scopro? Che la data di scadenza potrebbe anche apparire come “una signora sfiga”. Allora leggo, leggo e leggo ancora. Tutto preso dal romanzo di Simona Sparaco. Dal quale non mi stacco. Mentre ho la sensazione o almeno spero che lei sia concentrata sulla mia ricostruzione della morte di Pablo Neruda. Per cortesia non disturbateci.

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La scheda del libro di Roberto Ippolito “Delitto Neruda” (Chiarelettere)

Cile, 11 settembre 1973, l’instaurazione della dittatura militare di Pinochet, la fine di un sogno. Le case di Pablo Neruda devastate, i suoi libri incendiati nei falò per le strade. Ovunque terrore e morte. Anche la poesia è considerata sovversiva. A dodici giorni dal golpe che depone l’amico Allende, il premio Nobel per la letteratura 1971, il poeta dell’amore e dell’impegno civile, amato nel mondo intero, muore nella Clinica Santa María di Santiago. La stessa in cui, anni dopo, morirà avvelenato anche l’ex presidente Frei Montalva, oppositore del regime. Il decesso di Neruda avviene alla vigilia della sua partenza per il Messico, ufficialmente per un cancro alla prostata. Ma la cartella clinica è scomparsa, manca l’autopsia, il certificato di morte è sicuramente falso.

Ippolito ha raccolto le prove sostenibili, gli indizi e il movente della fine non naturale di Neruda, sulla scorta dell’inchiesta giudiziaria volta ad accertare l’ipotesi di omicidio, e per questo contrastata in ogni modo da nostalgici e negazionisti. Per la sua drammatica ricostruzione, l’autore si è avvalso di una vasta documentazione proveniente dalle fonti più disparate: archivi, perizie scientifiche, testimonianze, giornali cartacei e on-line, radio, televisioni, blog, libri, in Cile, Spagna, Brasile, Messico, Perù, Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Italia.

Il libro è scritto con il rigore dell’inchiesta e lo stile di un thriller mozzafiato. Protagonista, una figura simbolo della lotta per la libertà, non solo in Cile, vittima al pari di García Lorca, suo grande amico e illustre poeta, ucciso dal regime franchista.

La fascetta

“Il mondo deve sapere la verità sulla morte di mio zio Pablo”

Rodolfo Reyes, nipote di Pablo Neruda

Dalla copertina

“Chi uccide un poeta uccide la libertà. Roberto Ippolito firma un’inchiesta stringente e appassionante sulla misteriosa morte di Pablo Neruda”

Giancarlo De Cataldo

 “Ippolito raccoglie i fatti e li processa, li ricompone, li inchioda. Sembra di essere davanti a una fedele applicazione del principio pasoliniano del sapere fondato sulla ricerca intellettuale. Solo che qui ci sono anche le prove”.

Diego De Silva

Dall’ultima di copertina

– Cerchi pure, capitano! Qui c’è una sola cosa pericolosa per voi.

– Cosa?

– La poesia!

Pablo Neruda a un ufficiale durante la perquisizione a Isla Negra, tre giorni dopo il colpo di stato del 1973