Aldo Cazzullo parla sul “Corriere della Sera” del libro di Roberto Ippolito “Delitto Neruda” (Chiarelettere) 2 ottobre 2020

“Ci sono molto più che sospetti” nel libro pubblicato da Chiarelettere, scrive sul quotidiano in una dettagliata risposta a un lettore, nella sua rubrica “Lo dico al Corriere” di venerdì 2 ottobre 2020. E spiega: “Il titolo annuncia la conclusione a cui arriva l’autore sulla morte del poeta amato in tutto il mondo. Non è una tesi precostituita, ma il frutto di un’ampia inchiesta internazionale sulla scomparsa del premio Nobel, appena dodici giorni dopo il golpe di Pinochet”.

Aldo Cazzullo mette a fuoco anche la questione del movente: “Ma perché uccidere Neruda, se era molto amato? Proprio perché molto amato: questa la risposta che suggerisce Ippolito. Il poeta sarebbe partito il giorno successivo per rifugiarsi in Messico. Battagliero politicamente, con la sua popolarità, sarebbe stato un punto di riferimento per l’opposizione a Pinochet”.

E cita i riconoscimenti al libro di Rodolfo Reyes, nipote di Pablo Neruda (“Un anticipo della verità giudiziaria”) e della Fundación Internacional Baltasar Garzón (“Contributo importante alla ricerca della verità”).

Qui sotto il testo integrale della lettera e della risposta

Lo dico al Corriere / Risponde Aldo Cazzullo

All’inizio dell’autunno 1973
qualcuno uccise Pablo Neruda

Caro Aldo,

il mese di settembre ci ha riproposto il drammatico ricordo del golpe di Pinochet in Cile, l’11 settembre (una data che associamo all’attacco alle Torri gemelle). Ma settembre porta con sé anche l’anniversario della morte di Pablo Neruda. Ho sentito parlare di sospetti sulla sua fine. Lei ritiene davvero possibile che anche lui sia una vittima del regime?

    Aurelio Del Monte, Roma

Caro Aurelio,

ci sono molto più che sospetti nel libro appena pubblicato da Roberto Ippolito, «Delitto Neruda» (Chiarelettere). Il titolo annuncia la conclusione a cui arriva l’autore sulla morte del poeta amato in tutto il mondo. Non è una tesi precostituita, ma il frutto di un’ampia inchiesta internazionale sulla scomparsa del premio Nobel, nella Clínica Santa María di Santiago, appena dodici giorni dopo il golpe di Pinochet. Versione ufficiale: cancro alla prostata. Ma in base alle testimonianze raccolte Pablo Neruda non era un malato terminale; anzi, lavorò fino agli ultimi momenti di vita.
Il batterio Clostridium botulinum, conosciuto come arma biologica, è stato trovato in un molare con la riesumazione disposta per l’inchiesta giudiziaria avviata nel 2011 e ancora aperta. La circonferenza della cintura trovata allacciata al corpo dimostra che Neruda era sovrappeso se non obeso: la cachessia cancerosa, ovvero la denutrizione, indicata nel certificato di morte pertanto è falsa. Ci sono le tracce di un’iniezione nella pancia all’origine della morte repentina; mentre è scomparsa la cartella clinica.
Ippolito apre dunque una pagina di storia sulla quale finora non si è fatto luce. Rodolfo Reyes, nipote di Neruda e rappresentante legale dei familiari, ha definito il libro «un anticipo della verità giudiziaria che in Cile si è voluto nascondere per diversi motivi e interessi». E il 23 settembre, anniversario della morte, la Fundación Internacional Baltasar Garzón in una nota diffusa a Madrid ha raccomandato la lettura di «Delitto Neruda», definendolo «un contributo importante alla ricerca della verità».
Ma perché uccidere Neruda, se era molto amato? Proprio perché molto amato: questa la risposta che suggerisce Ippolito. Il poeta sarebbe partito il giorno successivo per rifugiarsi in Messico. Battagliero politicamente, con la sua popolarità, sarebbe stato un punto di riferimento per l’opposizione a Pinochet.