Roberto Ippolito Ignoranti Chiarelettere copertina
Roberto Ippolito Ignoranti Chiarelettere copertina

Il quindicinale del Consiglio nazionale delle ricerche curato dall’ufficio stampa “Almanacco della scienza”, parla del libro di Roberto Ippolito “Ignoranti” pubblicato da Chiarelettere in un articolo intitolato “Idioti, ignoranti, di chi la colpa?”. L’autore è Marco Ferrazzoli capo ufficio stampa del Cnr. Questo il testo.

Idioti, ignoranti, di chi la colpa?

Nell’epoca in cui le tecnologie dell’informazione e della comunicazione ci mettono a disposizione una quantità sterminata di notizie e commenti, con una velocità e interattività che non abbiamo mai conosciuto in passato, stiamo davvero diventando ‘Un popolo di frenetici, informatissimi idioti’, come sospetta Franco Ferrarotti, o di ‘Ignoranti’, come afferma Roberto Ippolito nel saggio sottotitolato ‘L’Italia che non sa, l’Italia che non va’?

La lettura convergente dei due libri ispira un senso di desolazione irreversibile. Ippolito, importante saggista e comunicatore, che ha diretto il servizio economia del quotidiano La Stampa e rivestito incarichi di vertice a Confindustria e alla Luiss, mescola nel suo saggio i dati sulla crisi economico-finanziaria e produttiva del paese; dati sullo scarso investimento italiano in formazione, cultura, ricerca scientifica; aneddoti tratti dalla stampa, relativi soprattutto agli orrendi strafalcioni lessicali e sintattici commessi negli ambienti più insospettabili, quali concorsi per laureati o dichiarazioni di parlamentari. La conclusione, che se ne trae – come riassume Barack Obama nella quarta di copertina con un aforisma fulminante – è che “Tagliare il deficit riducendo gli investimenti nell’innovazione e nell’istruzione è come alleggerire un aereo troppo carico togliendo il motore”.

Ferrarotti si diffonde su un tema analogo sintetizzando in forma di pamphlet un’esperienza culturale di longevità, lucidità e vastità davvero rare. Primo sociologo italiano, sin dall’immediato dopoguerra ha frequentato i maestri americani di questa disciplina affermandosi come uno degli osservatori più attenti e acuti della nostra realtà. Ma soprattutto Ferrarotti qui conferma la sua statura e natura di “uomo di carta”, come lo definiva con accezione non del tutto positiva il padre, cioè di persona che ha legato la propria formazione a un mondo, librario oggi in via di estinzione. La cultura digitale dell’immagine, dell’informazione immediata, subito disponibile e quindi subito superabile, lo insospettisce ispirandogli toni quasi ‘apocalittici’.

I due volumi pongono considerazioni serie, anzi essenziali per la nostra identità intellettuale di terzo millennio. C’è però da sollevare un paio di considerazioni. La prima è che cercare di governare il cambiamento rivoluzionario apportato dall’Ict, non deve portarci ad aggravare il gap del nostro paese negli investimenti culturali e formativi, che invece si auspicano come fondamentali. La seconda è che se tali investimenti, così correlati allo sviluppo, vengono negati costantemente forse da parte di accademie, ricerca, istruzione, deve arrivare un profondo ripensamento, uno scatto d’orgoglio teso a dimostrare meglio la propria utilità senza far confondere la propria richiesta con quella di un mero ‘assistenzialismo’.

Marco Ferrazzoli



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