Roberto Ippolito 16 marzo 2013 foto Maurizio Riccardi
Roberto Ippolito 16 marzo 2013 foto Maurizio Riccardi

detenuto chiede scusa provocando un’interruzione: “Vorrei raccontare quello che mi è capitato. Ero andato all’udienza di appello alla terza sezione della corte di appello di Roma. Al ritorno a Rebibbia un agente si è accorto che avevo con me il libro di Andrea Camilleri ‘Un covo di vipere’. Ho rischiato un rapporto disciplinare poiché con la perquisizione effettuata all’uscita vengono tolti tutti gli oggetti non consentiti. E io invece avevo con me un libro, che all’uscita dal carcere non era stato ‘dichiarato’. Ma avere un libro è importante, anche perché spesso le attese per un’udienza sono molto lunghe. Perciò io avevo portato fuori quello di Camilleri, sicuro di non fare niente di male”.

L’importanza di un libro per un detenuto balza così all’attenzione. L’episodio paradossalmente viene descritto, martedì 28 gennaio 2014, nella biblioteca centrale del carcere maschile “Nuovo Complesso” di Rebibbia, dove Roberto Ippolito sta presentando il suo “Ignoranti”, pubblicato da Chiarelettere, con il quale documenta il grave arretramento dell’istruzione e della cultura in Italia. Fra i tanti preoccupanti dati e le tante pessime figure dell’Italia nei confronti internazionali per il sapere contenuti nelle sue pagine, c’è la caduta delle vendite di libri e dell’indice di lettura (nel 2013 soltanto un modesto 43% degli italiani ha letto almeno un libro).

Il giorno dopo, mercoledì 29, problemi analoghi legati alle regole interne da rispettare e alla sicurezza da garantire emergono nel secondo incontro di Ippolito a Rebibbia, questa volta nel carcere femminile. “Per portare un libro con sé in occasione di una visita medica specialistica bisogna presentare una formale domanda scritta ed è prevista una lunga procedura, anche se i tempi morti sono sicuri” viene detto.

I due appuntamenti sono stati organizzati nell’ambito dell’ultima fase del Premio Biblioteche di Roma, di cui “Ignoranti” è finalista, e che prevede confronti con i circoli dei lettori delle biblioteche comunali di Roma, circoli organizzati anche all’interno delle carceri della città. Un numero significativo dei detenuti partecipanti ai due incontri ha infatti già letto “Ignoranti”. Numerosi di loro lamentano però in generale quanto sia difficile leggere. “Siamo divoratori di libri, ma non abbiamo un abat-jour” afferma un recluso sostenendo la necessità di una lampada.

Alla sezione femminile viene invece espresso a Ippolito il rammarico per il fatto che, più severamente di quanto avviene in molte altre carceri, “le copertine rigide spesso non sono ammesse e vengono strappate dagli agenti per il timore che possano nascondere qualcosa”. Una volta, per assicurarsi che lo strappo venisse effettuato con attenzione, una detenuta ha chiesto a un familiare durante un colloquio di togliere lui la copertina del libro portato in regalo.

Per i libri la situazione a Roma è comunque più favorevole rispetto ad altre prigioni italiane, in particolare del Sud. Però anche a Regina Coeli, a causa del sovraffollamento, una biblioteca di reparto è stata chiusa per il bisogno di locali: oggi è occupata da 10 brande a castello.

Grazie alla convenzione sottoscritta con il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria dal comune di Roma e dal sistema Biblioteche di Roma sin dal novembre 1999, queste ultime gestiscono le oltre venti piccole biblioteche delle sei prigioni della capitale. “Nei penitenziari più che mai il libro è lo strumento per elevarsi, per il proprio riscatto, per quel cammino di rieducazione scritto nella Costituzione e per questo dobbiamo agevolarne la diffusione con convinzione e determinazione” afferma Fabio De Grossi delle Biblioteche di Roma.

Nella sezione maschile di Rebibbia c’è una biblioteca centrale più grande accanto alle sette dei reparti, più piccole. A Ippolito che, statistiche alla mano, sottolinea “la grave emarginazione dei libri negli ultimi tempi in Italia” e “i forti limiti della classe dirigente poco orientata verso la lettura” un detenuto fa notare che “qui, pur essendo basso il grado di alfabetizzazione, leggono molte persone che a casa non leggevano nulla”. Un altro vorrebbe una maggiore possibilità di accesso alla biblioteca centrale, per avere la possibilità di leggere con tranquillità e non in cella, dove più persone sono impegnate in attività diverse.

Nella sezione femminile la media dei prestiti alle 400 detenute negli ultimi mesi è di circa 120 volumi. Una media alta dunque. Ma, durante l’incontro con “Ignoranti”, una di loro sostiene che “il numero di prestiti potrebbe essere ancora superiore se si potesse frequentare la biblioteca più di una volta la settimana per ogni reparto, come è consentito oggi, e se le uniche tre ore settimanali previste non diventassero in realtà due a causa della difficoltà di arrivare”. In tutti i reparti affiora insomma una richiesta precisa: fateci leggere di più. Commenta Ippolito: “Gli incontri con i detenuti di Rebibbia invitano a riflettere su quanto possano essere vitali i libri per assicurare una prospettiva diversa a ognuno. E’ un tema fondamentale in generale, ma ancora più rilevante con le attuali gravi condizioni del sistema carcerario italiano”.

Con i due giorni di discussione con “Ignoranti”, Rebibbia risulta pertanto un osservatorio speciale dello scenario nazionale con la messa a fuoco di questioni chiave per lo sviluppo collettivo e le prospettive individuali. Molto vivace la conversazione nella sezione maschile, con un’infinità di domande una dietro l’altra. Tra le questioni affrontate dal libro (che ha come sottotitolo “L’Italia che non sa. L’Italia che non va”) l’abbandono precoce degli studi: le cifre sono impressionanti. Un ragazzo su cinque non va oltre la licenza media. In alcune aree del paese la situazione è molto più pesante, con effetti drammatici: la malavita organizzata può attrarre (e troppo spesso ci riesce) chi diserta le aule. Il libro evidenzia che la mafia teme più la scuola che la repressione. E’ un argomento approfondito nei due incontri.

Molti detenuti, parlando dei propri figli, si sono soffermati sulle analisi del libro sui costi dello studio diventati molto alti. Ippolito fa risaltare come l’istruzione sia sempre più una prerogativa di chi gode di una situazione più agiata. E come sia modesta la possibilità di migliorare il punto di partenza individuale per quanto riguarda le condizioni sociali ed economiche.

Con amarezza, il libro fa anche divertire grazie alle inverosimili assurdità raccontate, come gli inconcepibili errori dei laureati candidati ai concorsi ma anche quelli commessi da chi prepara le prove a cui loro vengono sottoposti. Dai piccoli ai grandi, con nomi e cognomi, vengono offerte delle perle uniche. Ma quali sono i modelli? Quali sono le scelte politiche e i comportamenti delle istituzioni? E come sono lontani i tempi del miracolo economico, quando la scolarizzazione e la lettura erano in crescita, contrariamente a oggi. Oggi la vita dei libri, in carcere e fuori, è dura.




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