Roberto Ippolito e Marco Lodoli
Roberto Ippolito e Marco Lodoli

Scrittore (ultimo romanzo “Vapore” con Einaudi, appena uscito) e insegnante di lettere in un istituto professionale della periferia di Roma, Marco Lodoli (a destra nella foto) ha letto con grande disagio “Ignoranti” di Roberto Ippolito e ha pubblicato le sue riflessioni su “Tiscali”, nella rubrica “Socialnews”. Il titolo della sua nota è “Gli altri Paesi si evolvono e investono nella scuola, l’Italia invece si è bifolchizzata”.

Qui sotto il testo di Marco Lodoli

Siamo ignoranti, retrocediamo a velocità spaventosa verso il regno buio dell’analfabetismo, dell’incompetenza, dello stordimento culturale. Gli altri evolvono, investono nella scuola, nell’università, nella ricerca, e di conseguenza le loro economie reggono meglio l’urto della crisi, o addirittura lo scavalcano a piedi uniti. Noi ci siamo bifolchizzati, parliamo male, scriviamo peggio, ragioniamo incollando a casaccio le frasi. I nostri politici non hanno mai un libro in mano, lo stesso Berlusconi sostiene che “pur essendo il proprietario della maggiore casa editrice italiana probabilmente da forse vent’anni non leggo un romanzo.” E gli altri lo seguono a ruota, smascherati nella loro insipienza culturale dalle domande delle Iene, dalle loro stesse dichiarazione sgrammaticate e incomprensibili. Ma tutto il paese arranca nell’ignoranza: pare che il settanta per cento degli italiani non riesca a comprendere un semplice articolo di giornale, non sappia esprimere ciò che prova, ciò che sente.

La lettura di “Ignoranti, l’Italia che non sa, l’Italia che non va” di Roberto Ippolito, edizioni Chiarelettere, è agghiacciante. Non c’è un solo dato che migliori, tutto frana nel crepaccio della miseria culturale. Aumentano gli abbandoni scolastici, diminuiscono i diplomati, gli iscritti all’università, i laureati, diminuiscono i lettori dei giornali, delle riviste, dei libri: e di pari passo cresce la povertà. E’ una ritirata ingloriosa, in fondo alla quale non c’è alcuna salvezza, perché senza strumenti non si va da nessuna parte, senza vocabolario non si comprende più nulla. Capisco che il momento è difficile e che tanta gente ragiona in termini di “primum vivere”, poi eventualmente filosofare. Ma se non rimettiamo in moto la nostra curiosità, il desiderio di conoscenza, sarà dura cavarsela in mondo sempre più complesso.

L’Italia ha un primato culturale del quale dovremmo essere orgogliosi, noi siamo il paese di Leonardo e Michelangelo, di Brunelleschi e Galileo, qui sbarcano ogni giorno migliaia di turisti incantati dalla nostra storia, fatta di bellezza, intelligenza, profondità. Come è stato possibile che da questa matrice sia venuto fuori un paese che disprezza violentemente il proprio destino? Veramente qualcuno può credere che basta un paio di occhiali da sole firmati o un’abbronzatura da centro estetico per farla franca? Davvero qualcuno ancora si illude che basta rifarsi il naso o le tette per ottenere un posto al sole? Bisogna ricominciare a investire nell’istruzione, bisogna che cambi il clima generale, per troppi anni impestato dalla faciloneria e dal narcisismo più vuoto.

I nostri figli dovranno sapere più cose di noi, conoscere meglio la matematica, le lingue, la storia dell’arte, la fisica e la letteratura, dovranno ritrovare il gusto della lettura, quella libido che porta a corteggiare e conquistare l’ignoto. Altrimenti saremo non solo un paese di buzzurri, ma anche di morti di fame, perché senza cultura non ci sarà neanche più il pane e salame. 

 


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