colpiscono: al calo dei lettori corrisponde il calo dell’occupazione. E’ lo scrittore e giornalista Roberto Ippolito, autore di “Ignoranti” pubblicato da Chiarelettere, a mostrare questo cammino parallelo in discesa nell’intervista pubblicata sul numero di febbraio 2014 del “Giornale della Libreria”, il mensile dell’Associazione editori italiani, e realizzata da Lorenza Biava. La rivista si interroga su “come mai la lettura non è più veicolo di promozione sociale”, interpellando anche Bruno Arpaia, autore di “La cultura si mangia” (Guanda).

A Ippolito è stato chiesto: “Quali potrebbero essere le ricadute pratiche del calo della lettura per l’economia italiana?”. Queste le sue osservazioni:

 

“Le coincidenze colpiscono sempre la fantasia. E per rispondere alla domanda potrei farmi aiutare da loro. Così potrei parlare delle 351mila persone in più che nell’ultimo anno non sono riuscite a trovare un lavoro (in base ai dati Istat relativi a novembre 2013) e contemporaneamente del milione e 603 mila lettori in meno di almeno un libro sempre nel 2013. Che coincidenza, no?

Oppure si può dare un’occhiata a quello che accade in Sicilia: qui i lettori nel 2013 sono il numero più basso rispetto a tutte le altre regioni, con un calo di 97 mila unità in dodici mesi e parallelamente gli occupati sono -248 mila.

Ma la coincidenza quasi perfetta è quella della Puglia, che ha ceduto il primato negativo del 2012 di regione con meno lettori pur avendone perso per strada una quota consistente: nel 2013 la Puglia ha 89 mila lettori in meno e 100 mila occupati in meno.

Chi avesse poi voglia di guardare più indietro nel tempo noterebbe che la percentuale di lettori del 2013 in Italia è la più bassa dal 2005. Oggi la disoccupazione è del 12,7%, allora era del 7,6%. Che coincidenza, no?

No. Non è il caso di rifugiarsi nelle coincidenze. Un paese che legge così poco è un paese che si inaridisce, che deteriora la qualità della vita, che non è creativo, che non fortifica il made in Italy, che non si dedica all’innovazione. Insomma svilisce l’economia. Del resto l’Istat, esprimendosi con il suo gergo, ha comunicato che “i più bassi livelli di lettura si registrano” in particolare tra “i ritirati dal lavoro”. Solo il 33,8% di loro ha terminato almeno un libro nel 2013.

Nell’Italia che arranca accade dunque questo. Avere un misero 43,0% di lettori di almeno un libro in un anno dovrebbe far riflettere, oltre che (possibilmente) vergognare.

Le cadute ci sono state. Le ricadute pratiche della così diffusa distrazione nei confronti dei libri non potranno che essere pesanti: senza migliorare il nostro bagaglio non andiamo lontano. Ma nulla vieta di reagire, con l’aspirazione a non cadere più”. 

(Foto di Maurizio Riccardi)





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