Roberto Ippolito, autore del libro “Delitto Neruda”, pubblicato da Chiarelettere, accanto alla tomba di Pablo Neruda a Isla Negra in Cile
Roberto Ippolito, autore del libro “Delitto Neruda”, pubblicato da Chiarelettere, accanto alla tomba del poeta a Isla Negra

Il poeta sta guardando l’oceano, con le onde fragorose e inarrestabili. Oltre venti anni prima di morire, aveva chiesto con i suoi versi di essere sepolto “a Isla Negra di fronte al mare che conosco”. Oggi Pablo Neruda sembra ricavare dal suo desiderio soddisfatto anche un misero vantaggio. Non vede quello che accade alle sue spalle. Che poi è più o meno nulla.

Sono infatti dieci anni esatti, in questi giorni, che la magistratura cilena ha aperto il fascicolo per l’accertamento delle cause del decesso senza chiuderlo. Il processo, ripetutamente ostacolato, non fa passi avanti. Teoricamente da un momento all’altro uno sviluppo potrà esserci, ma adesso no. Non c’è la sentenza sulla morte, avvenuta dodici giorni dopo il golpe di Augusto Pinochet e l’insediamento della dittatura.

Provo un grande sconforto come autore di “Delitto Neruda”, il libro che ho pubblicato con Chiarelettere. I fatti, le testimonianze, i documenti, al termine delle mie ricerche compiute da tutte le parti nel mondo, hanno portato a scegliere il titolo “Delitto Neruda” sono tanti. E Pablo Neruda attende ancora giustizia.

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La scheda del libro di Roberto Ippolito “Delitto Neruda” (Chiarelettere), sottotitolo “Il poeta Premio Nobel ucciso dal golpe di Pinochet”

Cile, 11 settembre 1973, l’instaurazione della dittatura militare di Pinochet, la fine di un sogno. Le case di Pablo Neruda devastate, i suoi libri incendiati nei falò per le strade. Ovunque terrore e morte. Anche la poesia è considerata sovversiva. A dodici giorni dal golpe che depone l’amico Allende, il premio Nobel per la letteratura 1971, il poeta dell’amore e dell’impegno civile, amato nel mondo intero, muore nella Clinica Santa María di Santiago. La stessa in cui, anni dopo, morirà avvelenato anche l’ex presidente Frei Montalva, oppositore del regime. Il decesso di Neruda avviene alla vigilia della sua partenza per il Messico, ufficialmente per un cancro alla prostata. Ma la cartella clinica è scomparsa, manca l’autopsia, il certificato di morte è sicuramente falso.

Ippolito ha raccolto le prove sostenibili, gli indizi e il movente della fine non naturale di Neruda, sulla scorta dell’inchiesta giudiziaria volta ad accertare l’ipotesi di omicidio, e per questo contrastata in ogni modo da nostalgici e negazionisti. Per la sua drammatica ricostruzione, l’autore si è avvalso di una vasta documentazione proveniente dalle fonti più disparate: archivi, perizie scientifiche, testimonianze, giornali cartacei e on-line, radio, televisioni, blog, libri, in Cile, Spagna, Brasile, Messico, Perù, Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Italia.

Il libro è scritto con il rigore dell’inchiesta e lo stile di un thriller mozzafiato. Protagonista, una figura simbolo della lotta per la libertà, non solo in Cile, vittima al pari di García Lorca, suo grande amico e illustre poeta, ucciso dal regime franchista.

La fascetta

“Il mondo deve sapere la verità sulla morte di mio zio Pablo”

Rodolfo Reyes, nipote di Pablo Neruda

Dalla copertina

“Chi uccide un poeta uccide la libertà. Roberto Ippolito firma un’inchiesta stringente e appassionante sulla misteriosa morte di Pablo Neruda”

Giancarlo De Cataldo

“Ippolito raccoglie i fatti e li processa, li ricompone, li inchioda. Sembra di essere davanti a una fedele applicazione del principio pasoliniano del sapere fondato sulla ricerca intellettuale. Solo che qui ci sono anche le prove”.

Diego De Silva

Dall’ultima di copertina

– Cerchi pure, capitano! Qui c’è una sola cosa pericolosa per voi.

– Cosa?

– La poesia!

Pablo Neruda a un ufficiale durante la perquisizione a Isla Negra, tre giorni dopo il colpo di stato del 1973