“Arel – La rivista” 2/2012 

Le amiche ridono: “Oggi tocca a te”. Silvia, 22 anni, il viso che sa di timidezza, sbuffa: “Ma che rottura!”. Non avrebbe voglia di rispettare il turno, onorato sempre da tutte. Non può sottrarsi, anche se non le va proprio di uscire di casa con un bel pacchetto di banconote consegnate dalle tre coinquiline, coetanee e studentesse come lei. Poi deve anche fermarsi al bancomat per poter prelevare la sua quota. E quindi deve andare dall’Insopportabile.

 

Silvia e le altre chiamano così il padrone di casa: l‘Insopportabile. Un cinquantenne lentissimo a riparare il rubinetto che perde, sordo alle richieste di sistemare due maniglie che cadono, inflessibile nel pretendere entro la mattina del 5 di ogni mese il pagamento dell’affitto dell’appartamento in cui le ragazze vivono.

 

Silvia suddivide i soldi in due tasche. E malinconica saluta: “Vabbè vado”. Arrivata nello studio del padrone di casa vuole liberarsi rapidamente delle banconote con le quali viene pagato l’affitto in nero. Ma l’Insopportabile le dice di aspettare. Prende alcuni fogli dalla scrivania e glieli sottopone: “Legga”.

 

La ragazza scorre il testo, ma ammette “Scusi non comprendo”. L’uomo: “È il contratto di affitto”. Silvia: “Non aveva detto che era meglio non farlo? E che se l’avessimo

 

 

voluto il prezzo dell’appartamento sarebbe salito per forza di cose?”. L’uomo, tutt’altro che arcigno, la rassicura sorridente: “Tranquilla, ci sono solo maggiori garanzie per voi. Il contratto non comporta alcun rincaro”.

 

“Sicuro?”.

 

“Sicuro”.

 

Per allontanare il timore che il contratto d’affitto spuntato a sorpresa contenga fregature, Silvia effettua un giro di telefonate. Infine lo firma. Quando sta per andare via, è trattenuta dal padrone di casa: “Scusi, mi scusi. Dimenticavo: questi sono i dati della banca per effettuare i versamenti da ora in poi”.

 

Silvia non fa in tempo a uscire dallo studio che chiama il suo ragazzo e lo sommerge di parole: “Senti senti, l’Insopportabile è impazzito o sono cretina io. L’affitto non è più in nero, capisci? Capisci? E niente più mazzette di soldi, ma un versamento in banca. Che gli sarà successo?”.

 

A fatica il ragazzo ferma il fiume in piena e dice la sua: “Forse è la giornata dei pazzi. Non sai cosa mi è capitato”. “Me lo racconti dopo, sai l’Insopportabile…”. “Ferma, ferma, fai parlare me ora. Ti ricordi Nick, l’aggiustatutto? Mi ha restituito la macchina fotografica”. “Embè?”. “Sistemata per soli 40 euro. Ma la cosa assurda è che mi ha costretto ad aspettare per scrivere la ricevuta fiscale. Ho temuto un trucco per gonfiare il prezzo. Invece non l’ha toccato”.

 

Mentre Silvia e il suo ragazzo descrivono le cose da pazzi vissute, nel palazzone di via XX Settembre a Roma dove ha sede il ministero dell’economia, un alto dirigente sta fornendo alcune informazioni al Ragioniere generale dello stato: “Lì per lì ho pensato a qualche computer fuori gioco o a un virus, ma i miei collaboratori mi assicurano che tutto funziona perfettamente. Insomma tutti quei soldi in più di cui stiamo registrando l’arrivo sono frutto di versamenti veri, non di errori”. Il Ragioniere generale dello stato lo guarda più che dubbioso.

 

“Sicuro?”

 

“Sicuro”.

 

Intanto Amedeo Brambi, titolare della Brambitaly, un impero imprenditoriale che va dall’alimentare alle macchine per il tessile, sembra spazientito dietro la sua scrivania di legno lucido quattro metri per uno e mezzo: “Allora?”. Il direttore amministrativo, impacciato, abbozza una risposta: “Mi perdoni, non so se eseguo bene. Questa volta dobbiamo fatturare l’intero importo e in Svizzera non ci va neanche un milione di euro. Voglio dire che quei 20 milioni restano qui!”.

 

Amedeo Brambi, titolare della Brambitaly, è ancora più spazientito e tuttavia gentile: “Mi sembra superfluo ripetere ancora la stessa cosa”. “Va bene, va bene, provvedo subito”. Allontanandosi, il direttore amministrativo pensa: “Questo gioco di tenere tutto in Italia gli costa un casino, peggio per lui se è impazzito. Ma meglio che io mi sbrigo, due minuti e questa strana storia è finita. Se ci fosse ancora il vecchio, lo farebbe internare”.

 

Pochi minuti dopo, nel palazzone di via XX Settembre a Roma dove ha sede il ministero dell’economia, un impiegato avverte un dirigente che avverte il Ragioniere generale dello stato che sono piovuti tanti bei soldi. A sua volta il Ragioniere generale dello stato comincia a valutare l’ipotesi di dover avvertire anche lui qualcuno: il ministro.

 

Ma prima preferisce fare e rifare i conti, sommando tutti gli incassi registrati rapidamente in più. E il risultato è sorprendente: “In questo momento il deficit pubblico è molto meno dei 62 miliardi e 363 milioni del 2011. Siamo sotto i 60, quasi sotto i 59”.

 

A circa quattrocentocinquanta chilometri di distanza nello studio medico Sanix, dove lavorano alcuni specialisti che più specialisti non si può, entra un paziente. La segretaria controlla l’orario della visita prenotata: “Solo due minuti e il professore la riceve”.

 

Il paziente sta per sedersi, come è abituato, nella sala d’attesa con le poltrone di pelle e una grande tela di Giorgio De Chirico.

 

“Mi scusi, possiamo impiegare questi due minuti per la ricevuta”. “La ricevuta?”. “Sì certo la ricevuta della visita, posso dargliela anche prima, tanto lei è già qui”.

 

Il paziente è sorpreso per l’improvvisa offerta della mai rilasciata ricevuta, come sarebbe sorpreso avendo in regalo il quadro di De Chirico costretto, con una certa invidia, a vedere più volte negli ultimi tempi a causa di una fastidiosa malattia. Accenna un lieve movimento della testa.

 

La segretaria è veloce, scrive, consegna la ricevuta, chiede: “Ha la carta di credito?”. Lui è ancora di più sorpreso, come sarebbe ancora più sorpreso ricevendo in regalo l’intero appartamento che ospita lo studio medico: “Avrei i contanti con me”. “Ma li tenga, le possono essere utili”. E il pagamento avviene con carta di credito e ricevuta.

 

Durante la visita il paziente ironizza fra sé e sé: “Speriamo che il professore non impazzisca anche quando decide le cure, altrimenti campo ancora poco”.

 

“Ragioniè, guardi qua!” quasi grida un capo intermedio, forte della confidenza acquisita in tanti anni di lavoro insieme, nel palazzone di via XX Settembre a Roma dove ha sede il ministero dell’economia. “E ora che c’è?”. “C’è che il flusso di euro è incessante”.

 

“Sicuro?”.

 

“Sicuro”.

 

“Ma tu sai dare una spiegazione?”. “E che ministero ne so! Questo è un enigma”. Il Ragioniere torna di nuovo a fare un po’ di calcoli: “Sembra impossibile. Se le carte che mi hai portato sono vere e non siamo su ‘Scherzi a parte’…”. “Sono vere ci mancherebbe”. “Dicevo, se sono vere il deficit pubblico scende a 37 miliardi e 291 milioni”. Il Ragioniere scruta il vuoto e poi annuncia: “Vado a dirlo subito al ministro”.

 

Quasi in contemporanea, un trentottenne disoccupato è a colloquio con il capetto della piccola impresa Mondi Nuovi dove gli era stata ventilata la possibilità di guadagnare qualcosa: “Se c’è ancora bisogno, io sarei pronto, anche subito e come aveva suggerito lei anche senza contratto”. Il capetto respira, poi l’informa che “fortunatamente la posizione è ancora libera”.

 

Quindi aggiunge: “Però facciamo finta che non ho ascoltato tutto. Alla Mondi Nuovi il lavoro nero è bandito, altrimenti che Mondi Nuovi sarebbero?”.

 

Il trentottenne, per non rischiare di perdere l’occasione, evita di chiedergli “se è scemo” visto che gli rimbomba ancora nelle orecchie la lunga tiritera sentita tempo prima secondo cui con i contratti in regola non esisterebbero più le aziende, il lavoro, l’economia, l’Italia e chissà che altro. Si limita a ipotizzare: “O è pazzo lui o sono pazzo io, ma chi se ne frega”.

 

Non potrebbe essere inferiore lo stupore del ministro quando gli vengono mostrati da dirigenti e funzionari accorsi nel suo studio, nel palazzone di via XX settembre a Roma, i dati dell’infinita catena di versamenti effettuati di colpo da tutte le parti. Non si capacita delle straordinarie notizie.

 

Anche lui vuole la certezza che il movimento di denaro sia fuori discussione. Il Ragioniere generale dello stato gli garantisce la bontà dei controlli già svolti e quindi che l’eccezionale afflusso di denaro è regolare.

 

“Sicuro?”

 

“Sicuro”.

 

Nella concitazione generale, nello studio del ministro un televisore è rimasto acceso. Riesce a catturare l’attenzione di tutti soltanto appena scatta un servizio da Montecarlo durante un telegiornale: “…da oggi dunque si può affermare che il principato sia meno italiano essendo ormai accertata la diminuzione dei residenti provenienti dal nostro paese”.

 

Il ministro prende il cellulare. Scusandosi con i presenti, esce dalla sua stanza per chiamare riservatamente il presidente del consiglio. Qualcuno orecchia soltanto dei pezzetti di frase: “meno tasse finalmente” oppure “qualcosa alla sanità”.

 

Il ministro rientra. Riceve, a distanza di pochi secondi una dall’altra, due telefonate dello stesso tenore dai vertici della guardia di finanza e dell’agenzia delle entrate rammaricati per le ore e ore passate senza pizzicare neanche un evasore, piccolo o grande che sia: mai successo prima.

 

Lo chiama anche Bianca, la figlia di nove anni. Il ministro tenta in tutti i modi di interrompere la conversazione, spiegandole che “ha da fare perché l’Italia sembra impazzita”.

 

“E perché è impazzita?”.

 

“Perché tutti pagano le tasse”.

 

“E che c’è di strano?”.

 

“Bè…”.

 

“Ma, papà, pagare le tasse non è un fatto di onestà?” domanda Bianca.

 


 

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