arel la rivista bellezza 2 2013
arel la rivista bellezza 2 2013

2013 della “Rivista” dell’Arel è dedicato alla parola “Bellezza”. Roberto Ippolito ne parla con l’articolo intitolato “Da Nerone  Manzoni e Visconti un invito a guardare oltre l’Imu”. Si tratta di una descrizione di casi e case incredibili proposta con questo sommario: “Quasi duemila anni di storia sono tenuti sotto chiave. Con i forti timori per le condizioni e le deboli speranze per il godimento. Tanta bellezza non può essere ammirata”.

“La Rivista”, diretta da Mariantonietta Colimberti, è il quadrimestrale di analisi scientifica e di dibattito dell’Arel, l’Agenzia di ricerche e legislazione fondata da Nino Andreatta. Fra gli autori del numero di novembre 2013 Valerio Castronovo, Piercamillo Davigo, Carla Bassu, Massimo Bergomi e Romeo Orlandi.

Questo il testo dell’articolo di Roberto Ippolito.

 

Almeno in un caso nessun dubbio. L’imu dovrebbe essere pagata. E dovrebbe anche essere salata, salatissima. Soppressa, modificata o sostituita, l’imposta municipale sulla casa dovrebbe comunque essere prevista per una residenza collocata in un punto magnifico di Roma: a pochi metri dal Colosseo. Il motivo è il suo lusso.

Parlare di abitazione favolosa è legittimo: 16mila metri quadrati di superficie, 30mila metri quadrati di affreschi, 150 ambienti alti fino a 11 metri. Una casa imponente dunque. Degna di un imperatore. Infatti è la residenza dell’imperatore Nerone, che la fece costruire dopo l‘incendio di Roma scoppiato nella notte del 18 luglio 64 d.C e di cui da sempre è l’imputato numero uno.

Già con il suo nome, Domus Aurea, la casa anticipa la sua magnificenza: dai marmi alle decorazioni con pietre preziose. Morto Nerone, si cercò di nascondere tanto splendore. E, come si legge sul sito del ministero dei beni culturali, “i lussuosi saloni furono spogliati dei rivestimenti e delle sculture e riempiti di terra fino alle volte e sopra furono costruite le grandi terme di Tito e di Traiano”. Accanto, più in basso vide la luce il Colosseo. Quindi “le fastose decorazioni a fresco e a stucco della Domus Aurea rimasero nascoste fino al Rinascimento”. Ma “alcuni artisti appassionati di antichità, tra cui Pinturicchio, Ghirlandaio, Raffaello, Giovanni da Udine e Giulio Romano, calandosi dall’alto in quelle che loro pensavano fossero delle grotte, iniziarono a copiare i motivi decorativi delle volte”. Perciò le decorazioni furono definite “grottesche”.

La Domus Aurea rappresenta dunque qualcosa di unico per l’arte italiana e in special modo per il Rinascimento. Da vedere assolutamente. Se fosse possibile. Ma la Domus Aurea è chiusa. Le visite si svolsero tranquillamente soltanto dal 1999 al 2011. Poi le chiusure a causa delle infiltrazioni. L’ultima è stata disposta dopo il boato del 30 marzo 2010 per il cedimento di una delle gallerie di Traiano e la frana di 100 metri quadrati del giardino di Colle Oppio. 

Da quel giorno inutile bussare: alla Domus Aurea nessuno apre. E chissà quando sarà possibile entrare nuovamente, non essendo annunciata la fine dei lavori per il risanamento del complesso monumentale.

Quasi duemila anni di storia sono tenuti sotto chiave. Con i forti timori per le condizioni e le deboli speranze per il godimento. Tanta bellezza, dunque, non può essere ammirata. Il Bel Paese non guarda quanto è bello. Non vuole guardarsi e farsi guardare. Tutt’altro che narciso.

La bellezza negata non è una novità. Purtroppo. Così come non è una novità che la rinuncia dei piaceri della vista e anche del cuore comporta una grossa perdita per il turismo. La cultura e il turismo (con l’economia che stenta) continuano a soffrire.

Ma il destino appare proprio beffardo: dispute infinite e spesso insopportabili per le tasse sulla casa, cura troppo bassa per le residenze che fanno la storia e la qualità dell’Italia. Della Domus Aurea si parla molto poco mentre si scaldano gli animi per la limitata chiusura al traffico dei vicini Fori imperiali. E pace se le auto in marcia o i camion-bar fermi offuscano il Colosseo.

Di un’altra casa importante, quella dello scrittore Alessandro Manzoni a Milano, si parla invece solo grazie alla sollecitazione di Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa SanPaolo, in vista dell’Expo 2015. Bazoli ricorda  che già “anni fa” aveva dato al Comune, proprietario della casa in via Morone a due passi dal Duomo, “la nostra disponibilita’ ad intervenire sulla casa del Manzoni, che e’ in condizioni deplorevoli”. Ma ora l’esposizione universale impone di rendersi conto della situazione.

Aggiunge il banchiere: “Non si può arrivare all’Expo con una casa del Manzoni in quelle condizioni. L’appuntamento  deve essere l’occasione per far conoscere al mondo le grandi figure che hanno reso grande Milano e l’Italia. La casa del Manzoni è il luogo in cui si conservano ancora molti ricordi del Manzoni, è lo scrigno che consente di parlare nel mondo di Manzoni. Trovo inconcepibile che si arrivi all’Expo con quella casa in condizioni non dignitose”.

L’autore dei “Promessi sposi” l’acquistò esattamente due secoli fa, il 2 ottobre 1813. Pagò “con danari suoi propri”, come risulta dall’atto del notaio Giorgio De Castillia. Manzoni visse 60 anni in via Morone, in un ambiente che il sito “Casa del Manzoni” definisce “signorile ma di grande semplicità”.

Qui più che l’estetica conta la bellezza della memoria. Manzoni ricevette gli amici, i potenti dell’epoca o gli ammiratori. Al piano terra e al primo si trova il Museo Manzoniano con edizioni rare delle sue opere. Belle, no? E poi altri libri e mobili originari, autografi, documenti, ritratti. Di sicura bellezza.

Ma serve il richiamo di un banchiere per comprendere che una casa del genere richiede una particolare considerazione? L’Expo 2015 può certamente dare un impulso per realizzare i lavori necessari. Ai tanti possibili visitatori  di Milano può essere offerta la possibilità di uno sguardo unico sulla letteratura e sula storia italiana. Sarebbe un contributo al turismo.

Sotto gli occhi dei turisti è invece avvenuto l’inventario da parte di un ufficiale giudiziario di alcune poltrone, dei mobili, di foto d’epoca, dei videoproiettori utilizzati per lo schermo privato della saletta del primo piano e della macchina del caffè di una casa davvero originale: Villa Colombaia a Ischia. Ovvero il castelletto sul promontorio di Zaro nel comune di Forio d’Ischia del regista Luchino Visconti. Amato così tanto dal maestro del neorealismo che le sue ceneri sono nel giardino.

La vicenda giudiziaria all’origine del pignoramento e le relative controversie economiche fanno il loro corso. Ma anche il destino di Villa Colombaia provoca una giustificata apprensione. La residenza è dichiarata di interesse culturale e architettonico dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Dal 2001 è la sede della Fondazione La Colombaia posta sotto l’alto patronato del presidente della repubblica e istituita per “diffondere la cultura della comunicazione e dello spettacolo, con particolare riferimento alle arti cinematografica e teatrale”, e per “promuovere la formazione e la specializzazione”.

La Fondazione ha creato Il Premio Internazionale “Luchino Visconti” per l’arte, lo spettacolo e la comunicazione e la scuola di cinema, il primo master italiano in scienze e tecniche dello spettacolo dell’Università di Parma, di cui sono presidenti onorari Dario Fo e Bernardo Bertolucci. Si tratta perciò di iniziative culturali rilevanti. E anche per Ischia, poi, vale il ragionamento: un più felice contesto culturale provoca una migliore capacità di attrazione dei turisti.

Anche Visconti, forse, si starà chiedendo se, accantonate le discussioni sull’imu, sia possibile occuparsi della sua casa. Insomma Nerone, Manzoni e Visconti invitano a guardare molto oltre quell’imposta. Per gustare la bellezza che oggi si fa fatica a guardare. E che troppo spesso è perfino negata.

 

 


 

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